Liriche su Verlaine, per voce di soprano e pianoforte (1946-47)
Y despues, per chitarra a 10 corde (1971)
Concerto per pianoforte e orchestra (1959-1960)
Concerto n 2 per oboe e orchestra (1967)



Liriche su Verlaine
Scritte presumibilmente nel 1946-47, all’età di 26-27 anni, le Liriche su Verlaine sono rimaste inedite fino al 1985 quando l’editore Suvini Zerboni le ha pubblicate con una riproduzione fotostatica del manoscritto autografo. Non si conoscono esecuzioni fino al 1984, anno in cui venne realizzata a Bonn una grande retrospettiva dedicata a Maderna. Nel 1997 la Suvini Zerboni ha pubblicato l’edizione a stampa a cura di Benedetto Passannanti nell’ambito della riedizione critica delle opere di Maderna diretta da Mario Baroni e Rossana Dalmonte; su questa edizione è stata effettuata la presente registrazione.
L’opera si aricola in tre brani che portano i seguenti titoli: Aquarelles, Sérénade e Sagesse. Il primo utilizza la prima poesia del ciclo di sette liriche Aquarelles, inserito in Romances sans paroles, dal titolo Green. Il testo del secondo brano è Sérénade, tratta da Caprices, uno dei cicli dei Poèmes saturniens. Sagesse è la prima poesia del secondo ciclo dell’omonimo componimento poetico.
Le prime due composizioni di Maderna di cui abbiamo traccia sono Alba, per voce e archi su testi di Cardarelli, scritta negli anni 1937-40 e La sera fiesolana, di cui ci restano solo degli appunti datati 1938-39, che utilizza l’omonima poesia di D’Annunzio. Il primo approccio alla composizione passa quindi attraverso la poesia; e dopo Verlaine Maderna incontrerà i lirici greci (nella traduzione del ‘40 di Quasimodo), Garcia Lorca, Sofocle, Rilke ed Esiodo (gli ultimi tre nell’incompleto Das eiserne Zeitalter), Hölderlin, che occuperà un lungo periodo nella sua attività compositiva, un anonimo indiano del V secolo a.C. (autore del Bhagavad Gita, una meditazione sul significato dell’agire umano, utilizzato in Ausstrahlung), Shakespeare e infine Petronio Arbitro.
La poesia ha dunque accompagnato Maderna per tutta la sua attività creativa in un percorso che bene rivela i mutamenti del suo spirito: dal binomio spiritualità-passione di Verlaine al «Trionfo dell’amore e dell’immaginazione» di Lorca (sottotitolo posto da Maderna al suo Don Perlimplin); e poi Hölderlin con il suo Hyperion, il poeta solo con i suoi ideali e il suo straniamento all’interno di un mondo ostile; le riflessioni del Bhagavad Gita sul senso della vita; il “mondo-palcoscenico” dello shakespeariano As you like it, e infine il Satyricon di Petronio, dove ogni moralismo viene dissacrato e dove «le riflessioni sul destino dell’uomo sono contrappuntate da un turbine di colpi di scena che alleggeriscono la morale della favola, sottoponendo la parabola narrativa al gioco delle contraddizioni e dei paradossi, al gioco della vita..» (Giuliano Corti, prefazione al CD del Satyricon di Maderna diretto da Sandro Gorli).

Y despues
L’amore di Maderna per Lorca è testimoniato dalle diverse occasioni in cui il compositore, nell’arco di vent’anni, si rivolge ai suoi componimenti: negli Studi per il Llanto di G. Lorca, opera incompleta per tenore, flauto e chitarra, di incerta datazione, forse il 1950-52, utilizza i primi 37 versi della prima lirica del Llanto por Ignacio Sanchez Mejias, intitolata La cogida y la muerte; nel 1961 rielabora L’amore di Din Perlimplin con Belisa nel suo giardino, Alleluia erotica in quattro quadri e un prologo, per realizzare l’opera radiofonica Don Perlimplin, ovvero il Trionfo dell’amore e dell’immaginazione; in un brano per coro della Suite aus der Oper Hyperion, eseguita a Berlino nel 1969 Maderna utilizza Y despues, tratta da Romancero Gitano, e a quest’ultima lirica ricorre nuovamente nel 1971 quando scrive l’omonima partitura per chitarra a 10 corde, dedicandola al chitarrista Narciso Yepes.
La chitarra era apparsa numerose volte tra le composizioni di Maderna: nel 1950 aveva utilizzato una chitarra elettrica nell'organico orchestrale degli Studi per "Il Processo" di Kafka, e in seguito nel 1957 in Dark Rapture Crawl , in Don Perlimplin nel 1962, nel Concerto per oboe e orchestra n.2 con chitarra classica e chitarra basso nel 1967, mentre la chitarra classica è presente in lavori cameristici e orchestrali come Composizione in tre tempi del 1954, Amanda, Serenata VI del 1969, una delle Suites da "Hyperion", Aulodia per Lothar per oboe d'amore e chitarra del 1965, il Concerto per Violino e la Serenata per un Satellite, entrambi del 1969.
Y Después rimane il suo unico lavoro solistico dedicato alla chitarra, in particolare ad una chitarra a dieci corde, che approfondisce e completa il rapporto del compositore con questa numerosa e variegata famiglia di strumenti. Le caratteristiche timbriche di questo strumento - che ha dieci corde tutte tastate, delle quali sei accordate come una normale chitarra classica e quattro solitamente, ma non qui, in scala diatonica - sono molto affascinati, per la ridondanza di risonanze che evoca sonorità di strumenti antichi, lontani e le conferisce un colore più scuro e profondo della sorella a sei corde. La dilatazione del registro grave crea un nuovo spazio, una distanza con la regione acuta dello strumento che esaspera la cantabilità e dilata lo spessore armonico.
Y Después ripercorre le strade del canto andaluso, del popolo gitano, nelle quali Maderna incontra sì i gesti della chitarra flamenca, i rasgueados, le scale rapide e aggressive, gli accenti e i ritmi, ma ritrova soprattutto un canto puro, monodico, originario. Alla purezza della linea melodica che più volte torna a cantare, solitaria, nelle regioni più acute dello strumento si contrappone lo spessore verticale delle masse accordali, che sfruttano la potenza delle dieci corde, mentre rapide articolazioni percorrono tutto lo spazio della tastiera. Utilizzando le corde gravi non come semplici bordoni, ma come corde tastate alla pari delle prime sei, Maderna costruisce sulla tastiera complesse successioni di accordi e armonie sino a questo lavoro mai udite da una chitarra, sonorità cupe e laceranti che nell'accellerazione dei rasgueados si trasformano in cluster e rivelano tutta la forza racchiusa nella corda tesa.
In questo caso il testo non viene detto, recitato o cantato: accompagna silenzioso l'ispirazione di Maderna per tutto lo svolgersi del pezzo, lo guida nel lungo cammino del cante jondo, nelle pieghe più antiche dei suoi melismi, per comparire sulla carta solo nelle ultime due pagine, a "suggerire una forma" ai frammenti dell'improvvisazione finale. Un testo che quindi non viene letto al pubblico, ma piuttosto "rivelato" attraverso la musica. Il percorso di Maderna verso Y Después passa quindi attraverso Narciso Yepes, la chitarra a dieci corde, la Spagna, l'Andalusia, il Poema di Garcia Lorca, per incontrare infine l'origine del cante jondo. Un rarissimo esempio di canto primitivo, il più antico di tutta Europa come sostiene Lorca, "un canto tenido por el color misterioso de las primeras edades", le cui origini risalgono ai primi sistemi musicali dell'India e che "elleva en sus notas la desnuda y esclaforiante emocion de las primeras razas orientales".

Concerto per pianoforte e orchestra
Come abbiamo già detto il mito di Iperione occupa un grande spazio nell’attività compositiva di Maderna: l’incontro si concretizza nel 1964, con la composizione dell’Aria da Hyperion, ma da tempo, forse da sempre era presente nel compositore l’idea del «Poeta che vive incompreso nel mondo e che a sua volta non comprende il mondo circostante. Due mondi, pertanto, ognuno un caos, eppure ognuno con un alto tipo di organizzazione», come lo stesso Maderna spiega. Questi due mondi saranno poi sempre “rappresentati” (uso la parola quasi in senso teatrale) nelle sue partiture successive, soprattutto quelle con un solista: i tre concerti per oboe, il Concerto per violino e la Grande Aulodia. Già nel Concerto per pianoforte e orchestra del 1959 il rapporto solista-orchestra manifesta quella malinconia sofferente e quella pena per la solitudine dell’uomo, la sua estraneità dal mondo che costituiscono uno dei tratti costanti della poetica maderniana. Non il solo, naturalmente, giacchè a questo si affianca «il Maderna dell’allegria rumorosa, bruciante e turbolenta», come dice Mila nel suo impagabile saggio sul compositore veneziano. E vorrei proseguire con le parole di Mila: «Maderna era la somma di queste due posizioni, e nella sua musica l’esteriorità tumultuosa dell’avanguardia riveste e protegge la sofferenza segreta, come il un frutto la scorza circonda e protegge il seme. Ma bisogna togliere da questa metafora l’idea romantica che la vera realtà sia l’interno, il seme, la pena segreta, e l’esteriorità - la scorza - sia soltanto l’apparenza. No, Maderna era proprio la sintesi dei due elementi, e chi credesse di poter prescindere dall’uno o dall’altro, o di subordinare uno o l’altro, si vieterebbe di capire che cosa furono l’arte e la personalità di Maderna».
Ma vediamo da vicino la struttura del concerto cercando di individuare il tipo di rapporto che lega il solista all’orchestra.
Il Concerto per pianoforte porta la dedica al pianista David Tudor - uno degli interpreti più attivi dell’avanguardia musicale di quegli anni - che ne ha curato la prima esecuzione, avvenuta a Darmstadt il 2 settembre 1959 per il ciclo Tage für Nene Musik dei famosi Ferienkurse, frequentati da tutti i maggiori protagonisti della musica europea della seconda metà del secolo.
La scrittura pianistica annovera articolazioni e azioni direttamente sulle corde, dentro lo strumento, decisamente inedite e stravaganti: clusters prodotti dagli avambracci, percussioni e glissandi sulle corde con mani o bacchette da timpani, colpi e tremoli sulla cassa armonica e su qualunque superficie di legno dello strumento, corde pizzicate o smorzate che costringono il solista ad alzarsi frequentemente dallo sgabello per raggiungere l’interno dello strumento; ben cinque pagine di istruzioni con relativa segnaletica precedono l’inizio della partitura.
Dopo un breve episodio introduttivo orchestrale il pianoforte ha una prima cadenza seguita da alcune pagine di sola orchestra e poi da un più lungo episodio concertante, in cui solista e orchestra combattono una turbolenta battaglia che si interrompe alla metà del pezzo. La fine di questo episodio è segnalata da un gesto traumatico del solista che chiude con estrema violenza due volte il coperchio della tastiera lasciando vibrare sul breve episodio seguente di orchestra sola tutte le corde che i fortissimi colpi hanno messo in vibrazione .
Segue una seconda cadenza, molto più lunga ed elaborata, nella quale il compositore lascia al solista la libertà di inventare il proprio percorso: permutando liberamente i materiali musicali presenti nelle due pagine, è il solista che sottolinea relazioni e coincidenze o evidenzia situazioni contrastanti, diventando così il solo responsabile della forma che ne risulta. Maderna elenca un certo numero di “regole” per la lettura di questi materiali e fornisce un’indicazione assai rivelatrice della sua poetica: «La condizione ideale è quella di una grande calma e libertà. Libertà di sentirsi musicalmente “vivere” ora, prima, dopo, indifferentemente».
Dopo questa cadenza seguono un nuovo episodio orchestrale e un’altro concertante, nei quali emerge il carattere elegiaco e meditativo del compositore: al rigore ritmico del primo episodio concertante Maderna contrappone l’indicazione «un poco a fantasia»; suoni lunghi e riverberanti da uno strumento all’altro introducono una terza breve cadenza “colorata” qua e là dal timbro degli strumenti a percussione.
Un altro episodio orchestrale, con un solo, isolato intervento del solista che con le mani “spazzola” le corde su tutta l’estensione dello strumento, porta alla quarta ed ultima cadenza seguita da un finale sempre più tendente alla quiete, al silenzio: nelle ultime battute pianoforte e orchestra hanno pochi suoni dispersi sull’intero registro di cui dispongono, separati l’uno dall’altro da lunghe pause, in una sonorità appena udibile, come ultime stelle in un universo che si va inesorabilmente spegnendo.
Ripercorrendo i vari episodi che abbiamo descritto si individua una “vicenda” che vede solista e orchestra - Poeta e Mondo Esterno - dapprima separati e poi insieme in una turbolenta battaglia che vede spesso il solista sommerso, sconfitto dalla violenza delle sonorità dell’orchestra. Dopo un gesto di apparente rinuncia - la chiusura del coperchio della tastiera - e che invece interrompe in modo deciso e perentorio lo scontro, il Poeta viene lasciato solo e libero di guardarsi intorno, di muoversi in qualunque direzione, di osservare le coincidenze e di manifestare il suo stupore. Da qui in poi tutto cambia: non più accordi violenti e aggressivi ma sonorità dolci e meditative; alla pesantezza e matericità della prima parte si sostiuisce un mondo più lieve e delicato, senza stridori e di rarefatta spiritualità.
Ben lungi da voler intendere questa partitura come “musica descrittiva”, chiamerei volentieri il Concerto per pianoforte “poema sinfonico dell’anima”, il primo nella produzione di Maderna: ancor più esplicite “vicende” interiori saranno narrate nei successivi concerti per strumento solista e nelle grandi partiture sinfoniche degli ultimi anni.

Concerto n 2 per oboe e orchestra
Il Concerto per oboe e orchestra n. 2, dedicato all’oboista Lothar Faber, altro grande protagonista dell’avanguardia di quegli anni, è stato scritto nel 1967. All’oboe, certamente suo strumento prediletto, lo strumento, citando ancora Mila, con «un timbro quasi viscerale che pesca più a fondo nella lava incandescente dei sentimenti e delle passioni», Maderna ha dedicato molte delle sue composizioni: tre concerti, il primo del 1962 , il secondo, come già detto, del 1967 e il terzo del 1973, Aulodia per Lothar, per oboe d’amore e chitarra ad libitum, (1965) Solo, per oboe, musette - variante campagnola e più acuta dell’oboe, oboe d’amore e corno inglese - entrambi più gravi dell’oboe - suonati alternativamente da un solo esecutore (1971), Dialodia, per due oboi - o due flauti (1972), Grande Aulodia, un vero e proprio concerto doppio per flauto, oboe e orchestra (1970) e Ausstrahlung, per voce femminile, flauto, oboe, grande orchestra e nastro magnetico (1971). L’oboe e il corno inglese sono inoltre protagonisti di assoluta importanza in Aura (1972) e Biogranna (1972). Il terzo concerto per oboe è l’ultima partitura conclusa dall’autore.
Maderna non utilizza nel Concerto per oboe e orchestra n. 2 una normale orchestra sinfonica: fra gli strumenti a fiato non troviamo flauti, fagotti, trombe e tromboni ma solo due oboi e un corno inglese, tre clarinetti e un clarinetto basso e quattro corni; quattro strumenti a pizzico (due chitarre e due arpe) e una celesta; una selva di strumenti a percussione che coinvologno ben cinque esecutori; un gruppo ridotto di archi (sei violini, tre viole, tre violoncelli e tre contrabbassi).
Anche questo concerto alterna episodi aleatori e parti rigorosamente scritte. E’ il direttore che decide ad esempio se far iniziare prima i clarinetti e i corni, oppure i tre contrabbassi, o ancora le due arpe o le due chitarre e i tre violoncelli pizzicati (la prima pagina è suddivisa in questi quattro gruppi strumentali), ed è il direttore che stabilisce quando questi strumenti terminano i loro ritornelli durante il lungo episodio delle percussioni che segue.
Episodi orchestrali rigorosamente scritti (che Maderna chiama Tacktstock ....) ed episodi solistici si susseguono per tutta la partitura. Durante gli episodi solistici l’orchestra, guidata nei suoi interventi dal direttore, improvvisa su materiali scritti, accompagnando dapprima gli arabeschi e gli svolazzi della musette che termina su un la acuto (lo stesso su cui si fermerà nel Concerto per violino il solista prima dell’ultima cadenza) ripetuto più volte, urlato, «disperato» (come indica l’autore), poi ancora la musette in due episodi più lirici e distesi, il primo dei quali termina in un magico ampliamento dello strumento solista in un quartetto di ance doppie, con i due oboi e il corno inglese dell’orchestra (anche questo capiterà nuovamente nel Concerto per violino, quando il solista si ingigantisce fino a trasformarsi in un quartetto d’archi prima e in un quartetto con due violini, mandolino e chitarra poi).
Sarà poi l’oboe ad intonare il suo misterioso canto e infine l’oboe d’amore, il contralto della famiglia, sempre dolce e meditativo, accompagnato da accordi di chitarre e arpe e da suoni gravissimi e appena udibili («kaum hörbar») dei tre contrabbassi. Anche qui, come nel Concerto per pianoforte, e in quasi tutte le partiture di Maderna, non abbiamo una fine eroica; la materia non si impone ma evapora, la musica rarefatta si allontana delicatamente lasciando il posto alla quiete e al silenzio, lasciando a noi che ascoltiamo la fragranza e la nostalgia di una altissima poesia.
(Sandro Gorli)